Che ne sai tu di un campo di grano … cantava Lucio Battisti e noi tutti, a squarciagola, ripetevano questa frase senza conoscerne il vero significato.
Per saperne di più, abbiamo voluto intervistare il dott. Giovanni Giacone Starrabba, al quale piace definirsi agricoltore siciliano, imprenditore esperto di cerealicoltura che può raccontarci e spiegarci meglio cosa vuol dire oggi gestire un campo di grano.
Carissimo Giovanni, che vuol dire essere oggi agricoltore?
Il sogno di tutti gli agricoltori è quello di poter gestire serenamente la propria azienda. La mia azienda si trova a Santa Margherita di Belice dove coltivo prevalentemente cereali oltre ad uve da mosto ed olivi. Essere un agricoltore oggi è, da un certo punto di vista, un privilegio perché si è “costretti”, per una parte della giornata, a vivere a contatto con la natura, ma allo stesso tempo bisogna anche fare i conti con le variabili climatiche (fenomeni meteorologici sempre più spesso estremi), l’instabilità del mercato e la burocrazia sempre più invasiva.
In un mercato così globalizzato, vendere grano siciliano è un vantaggio?
La tanto agognata (da alcuni) globalizzazione ha comportato sicuramente alcuni vantaggi ma danneggiato di certo prodotti come il grano Siciliano. Il nostro grano, infatti, pur avendo ottime qualità organolettiche e non presentando nella maggior parte dei casi residui tossici, viene relegato in una posizione di secondo piano rispetto ad i grani esteri, i quali hanno valori proteici elevati, preferiti oggi dall’industria di trasformazione, primi tra tutti i pastifici.
Cosa incide sul prezzo del grano siciliano rispetto a quello estero?
Tra i grani Siciliani ed esteri una differenza fondamentale è quella che riguarda il costo di produzione, purtroppo a nostro svantaggio; basti pensare, infatti, ad i nostri più elevati costi per l’energia, del lavoro ed alla morfologia del territorio rispetto, per esempio, alle pianure Canadesi. In un mondo globalizzato, quindi, dove il prezzo del grano viene deciso a livello internazionale, l’unico modo per remunerare adeguatamente l’agricoltore sarebbe quello della chiusura della filiera e, quindi, posizionare i nostri prodotti finiti su quelle nicchie di mercato oggi in grande crescita che tendono ad assorbire sempre più prodotti naturali trasformati artigianalmente.
La semina dei grani antichi ha portato un effettivo vantaggio sia al terreno che all’economia?
A conferma di quanto detto, il reinserimento nella produzione agricola Siciliana dei cosiddetti grani antichi ha voluto dare impulso ad un modello di agricoltura che si differenzi e dia allo stesso tempo prodotti finiti sani ed il più possibile naturali. Bassi livelli di glutine a beneficio di chi soffre di alcuni tipi di intolleranze alimentari, lento rilascio degli amidi per un prolungato senso di sazietà e, soprattutto, la coltivazione degli stessi senza necessità di diserbanti (hanno, infatti, una capacità di levata molto rapida rispetto alle erbe infestanti) e con scarso ausilio di concimi avendo un apparato radicale più importante.
Cosa cambierebbe nelle politiche agricole per poter aumentare la produzione e, quindi, anche il guadagno?
La speranza è che i prodotti derivati dai grani antichi continuino ad essere richiesti dal mercato, così da poter dare maggiore impulso alla nostra economia e che le politiche agricole si orientino finalmente verso i prodotti siciliani (mettendo in evidenza le caratteristiche intrinseche) rispetto ai prodotti esteri.
Come vede la nostra agricoltura fra 20 anni?
Ritengo che in futuro ci sarà sempre più una differenziazione tra prodotti genuini artigianali e quelli industriali. I consumatori, infatti, sono sempre più consapevoli di questo. Sono, quindi, prudentemente fiducioso per il futuro.
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