Se conoscete cento donne palermitane avrete cento ricette diverse degli anelletti al forno!

E’ incredibile come ogni cuoca sappia dare il suo tocco ad una ricetta che sostanzialmente è piuttosto semplice ma che può prevedere nella sua esecuzione svariate varianti e variabili! Esistono vere e proprie “scuole di pensiero” nelle cucine delle famiglie perché ognuno ha una sua teoria sull’esecuzione cominciando da quale debba essere la consistenza della carne alla base del ragù ed il grado di densità dello stesso, per non parlare delle infinite diatribe sull’opportunità dell’aggiunta della besciamella, se sia opportuno condire questa pasta anche con l’aggiunta di salumi vari e tante variazioni sul tema tra le quali quella considerata scherzosamente meno nobile è l’introduzione dell’uovo sodo all’interno dello sformato.

Alla fine, qualsiasi sia la ricetta o la modalità di esecuzione, comunque quella della mamma o della nonna sarà sempre la più buona! In ogni caso tutti saranno d’accordo su una cosa: la cottura degli anelletti va interrotta per tempo al fine di mantenere la loro consistenza e continuare la cottura in forno. Gli anelletti devono essere di qualità perché se si spezzassero in cottura fallirebbe la realizzazione di un primo che nelle intenzioni di ogni cuoca palermitana deve essere assolutamente perfetto! L’origine di questo piatto così popolare in realtà risale alla tradizione gastronomica aristocratica siciliana più classica. Infatti, oggi il “timballo di anelletti” (questa è la denominazione più elegante) non manca mai sulle tavole dei giorni di festa o in ogni mercato e rosticceria che si rispetti ma, in un tempo non tanto lontano, esso era “un classico” dei banchetti nunziali.
C’è chi attribuisce il particolarissimo formato a forma di anello risalente addirittura all’antico rito della confarreatio, il rito dello sposalizio di epoca romana durate il quale i futuri sposi regalavano alle loro promesse un pane di farina di farro a forma di anello. Il timballo (dall’arabo timmala cioè “tamburo”) ha origine dallo sformato ideato dai cuochi degli emiri al tempo della dominazione araba del IX secolo in Sicilia. La consacrazione degli anelletti al forno come piatto delle tavole aristocratiche siciliane giunge nel XIX secolo quando viene proposto dai Monsù che lavoravano per le famiglie di corte e aristocratiche all’interno delle grandi cucine dei palazzi nobiliari. I Monsù (o Monzù, dal francese “Monsieur”) erano i cuochi al servizio dell’aristocrazia nel Regno delle Due Sicilie, veri e propri chef che gestivano ogni aspetto della cucina del palazzo e che si tramandavano le ricette ma solo verbalmente, senza lasciare nulla di scritto, fino alla scomparsa di questa cucina poiché con la decadenza dell’aristocrazia l’istituzione del cuoco di famiglia divenne una rarità. Molti non sanno che una ricetta classica dei Monsù erano proprio quella degli anelletti in brodo che conferma la versatilità del formato di questa pasta!
La testimonianza letteraria più prestigiosa della loro presenza sulle tavole aristocratiche ce la dà Giuseppe Tomasi di Lampedusa che inserisce gli anelletti tra i piatti citati nel Gattopardo (“ …e dalla cucina esalava il secolare aroma del ragù che sobbolliva, estratto di pomodoro, cipolle e carne di castrato, per gli anelletti dei giorni segnalati”) tanto che lo sformato assunse anche il nome di “Timballo del Gattopardo”. Si può certamente affermare che questo piatto meraviglioso che, da sempre, ha incontrato il gusto anche degli adulti più intransigenti e dei bambini più inappetenti, abbia letteralmente attraversato la storia rimanendo nei secoli uno dei capisaldi incontrastati della cucina siciliana e gli anelletti, in particolare, sono orgogliosamente una caratteristica assolutamente originale ed esclusiva di questa cucina che non smetterà mai di evolversi ma sempre nel rispetto della tradizione.