Forse non tutti sanno che la pasta trae le sue origini proprio in terra di Sicilia. Nel 1154 il geografo al-Idrisi scrisse per conto del re Ruggero un testo in cui descriveva un luogo che già all’epoca si chiamava Trabia in cui si trovavano vasti terreni e fiumi che alimentavano mulini e testimoniava che in questo luogo veniva prodotta talmente tanta pasta da essere persino esportata. Racconta Muhammad al-Idrisi nel suo libro: “A Ponente di Termini vi è l’abitato di Trabia, sito incantevole, ricco di acque perenni e mulini, con una bella pianura e vasti poderi nei quali si fabbrica pasta in tale quantità da approvvigionare, oltre ai paesi della Calabria, i territori musulmani e cristiani, dove se ne spediscono consistenti carichi”.
Questo passo dimostra che la Sicilia normanna (1061-1198 d.C.) continuava a occupare, anche dopo la dominazione araba, una posizione centrale nella fabbricazione della pasta essiccata, riuscendo così a valorizzare la sua grande produzione di grano duro che ne costituiva la materia prima indispensabile. Pare, infatti, che siano stati i musulmani a creare, nei primi anni del X secolo, proprio a Trabia, il primo impianto per la produzione di “ytria” ovvero gli spaghetti, che in dialetto siciliano sono chiamati ancora oggi “tria”.
Per tanto tempo la storia ci ha raccontato che la pasta fu importata in Italia da Marco Polo al ritorno dalla Cina (e sicuramente Marco Polo l’avrà certamente portata con sé) ma questo succedeva alla fine del XIII secolo mentre i siciliani a quell’epoca mangiavano spaghetti già da ben trecento anni e li esportavano pure! Infatti, in epoca normanna la pasta si esportava “nelle Calabrie”, espressione che indicava non solo la Calabria, ma anche Puglia, Basilicata e Campania. Uno dei formati di pasta più antichi tipicamente siciliani sono le busiate che sono dei bucatini “al ferretto” tipici del trapanese e diffusi in tutta la Sicilia.
Alcuni studiosi sostengono che siano la più antica pasta siciliana fatta in casa; esistono, infatti, dei documenti arabi del X – XI secolo che attestano la presenza di paste secche bucate sull’isola. Il nome ha origine dal termine “busa”, che indica lo stelo di una graminacea tipica mediterranea che cresce su terreni aridi. In realtà le busiate (o al maschile “busiati”) ben rappresentano le tipiche paste del Sud Italia, realizzate per mezzo di canule, bastoncini o ferretti più o meno sottili e tondi. Per arrotolare e tirare le busiate si utilizzava, infatti, un giunco dal diametro di tre/quattro millimetri, sostituito solo in tempi più recenti dai ferri da calze o dall’apposito ferretto. Questa pasta si prepara con semola di grano duro, acqua e sale e dall’impasto ottenuto si ricavano dei pezzetti di impasto della misura di una noce che si tirano sino a formare dei bastoncini lunghi almeno una decina di centimetri. Ciascun bastoncino viene poi appoggiato sul ferretto e arrotolato sulla spianatoia, così da ottenere uno spaghettone bucato che si sfila con un colpo secco della mano. Esistono busiate lunghe che non vengono divise all’estrazione del ferretto e busiate corte che invece entrano di diritto a far parte della grande famiglia dei fusilli. Se il formato industriale ha fortemente caratterizzato e distinto le busiate, disegnandole a spirale stretta, i prodotti della lavorazione casalinga si presentano con formati diversi che vanno dalla spirale aperta del fusillo a quella più chiusa del bucatino. Un piatto tipico della tradizione gastronomica siciliana più classica sono le “busiate con il pesto alla trapanese” ovvero busiate condite con una salsa cruda pestata al mortaio, preparata con olio extravergine di oliva, basilico, pomodoro pelato, aglio, aggiungendo sopra pecorino o in alternativa pangrattato abbrustolito, ed infine le mandorle tritate, caratteristica irrinunciabile della tradizione culinaria trapanese.
Cristina Colajanni
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